Proporre una riflessione sulla consulenza filosofica comporta anzitutto dare avvio ad una serie di domande che afferiscono, con ogni probabilità, sia allo statuto – stato dell’arte – dell’esercizio delle facoltà razionali e/o dialogiche, che all’ambito della creatività e dell’immaginazione.
Pongo questa breve premessa per mostrare come l’interrogazione sulla pratica filosofica, o sulle possibili applicazioni pratiche della filosofia, comporti la messa a fuoco complessa di tutta una serie di intrecci che, se per un verso, richiamano in causa l’iter storico del sapere filosofico con i suoi temi e i suoi specifici svolgimenti, per l’altro, ne integrano la valenza attraverso un nuovo orizzonte (1) di pensiero/azione centrato anche sulla creatività.
Con l’affermarsi dell’orizzonte pratico della filosofia nuove questioni di senso giungono alla luce, ed oltre ad essere rivisto, da un ampia prospettiva, lo statuto della teoresi e della metafisica, temi novecenteschi per eccellenza, risultano accentuati numerosi aspetti epistemologici di ampia portata. Evidenziare questo dato significa fare riferimento ad un vasto dibattito inter-disciplinare ed infra-disciplinare che chiama in causa i paradigmi di quelle scienze che, in svariati modi, pongono al centro del loro esercizio pratico e/o teorico la riflessione, il dialogo, lo scambio comunicativo, l’interpretazione e, in ultima istanza, l’animo umano.
Evidente come qui non si possa render conto, in modo esaustivo, di tali quanto mai complessi snodi, ma basterà ai nostri scopi accennare al fatto che la filosofia, attraverso il proprio esercizio pratico, voglia poter dire la ‘sua’ su questioni che sin dall’origine storica del suo sorgere, come anche nel fondamento stesso del suo esistere, la riguardano in modo primario.
Perché collocare al centro di una riflessione filosofica sulla consulenza l’aspetto creativo della vita, tentando di mostrarne la valenza peculiare? La consulenza filosofica si propone di spostare, talvolta, l’asse interpretativo applicato alla sofferenza e al disagio dal registro della malattia e dal binomio, già ampiamente indagato sano/malato (2), dove ciò è pertinente, verso l’orizzonte del senso, dei valori, delle relazioni e del sociale. Già Lou Marinoff definisce il Counseling come una “terapia per sani”(3), formula che ci spinge a constatare come alcuni disagi e sofferenze, con ogni evidenza, non siano legati direttamente alla ‘malattia’ ma strettamente connaturati alla vita, al suo fluire imprevisto, nonché a dinamiche sociali o naturali che oltrepassano l’ambito ristretto dell’individualità, sul quale sono invece solite concentrarsi la pratica psicologica e quella psicoanalitica. Lo smarrimento del senso e l’incapacità di leggere nel dolore come un evento naturale è caratteristica peculiare del nostro tempo, della sua organizzazione tecnica e burocratica e delle sue logiche di profitto. La filosofia può allora prendere posizione, o per meglio dire, porsi in ascolto dell’altro e, senza elaborare un giudizio, intraprendere un percorso comune e l’avvio di una ‘narrazione’ in grado di condurre ad una rielaborazione del vissuto nell’espressione contemporanea delle potenzialità in atto. Se per un verso gli stili di vita che riguardano da vicino ciascuno sono caratterizzati da una eccessiva meccanizzazione delle relazioni e dei rapporti interpersonali – siano essi formativi, produttivi, o sociali in senso lato – la filosofia pratica può dare respiro al suo percorso con il valorizzare i fattori inerenti la creatività e la libera immaginazione. Ciò, peraltro, senza pretendere di reperire sempre e comunque un senso nascosto nel ‘dire’ dell’altro, ma ri-donando alla parola la sua dimensione reale – sia essa codificata o riformulata – all’interno del libero fluire comunicativo.
Già decenni orsono lo psicoanalista e pediatra inglese Donald Winnicott scriveva: “Noi vediamo che o gli individui vivono creativamente e trovano che la vita vale la pena di essere vissuta, o che non possono vivere creativamente e dubitano del valore del vivere” (4). Lo stesso aspetto veniva sottolineato in modo significativo anche da Otto Rank, già membro della Società Psicoanalitica di Vienna che ebbe inoltre il grande merito – esprimendo riferimenti chiari e precisi – di far luce sul rapporto opaco, se non storiograficamente oscuro, che legava il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud al pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. L’impostazione psicologica di Rank prende le mosse proprio dalla nietzscheana ‘filosofia della volontà’ per approdare alla creatività (5) intesa come evento positivo e liberante nel rapporto conoscitivo, auto-conoscitivo ed esistenziale in senso ampio (6).
Non basteranno questi brevi cenni, né un approccio di ricerca approfondito, per mostrare come la filosofia sia intrecciata su più versanti ed imprescindibilmente alla sfera dell’anima e dello psichico, né, d’altra parte, questo è quanto qui ci proponiamo. Desideriamo, piuttosto, sottolineare come una fortissima esigenza etica si sia affacciata ai nostri sguardi, con l’irrompere dell’era della tecnica e del post-moderno, e come, contemporaneamente, la pratica filosofica possa essere in grado di raccoglierne appieno e fattivamente l’appello. L’esigenza di cui parliamo è quella di un rispetto reale nella relazione, come anche dell’esercizio paritetico dell’ascolto, di un sostegno che, come forse avrebbe detto Kierkegaard, si fa garante di libertà per l’altro generando indipendenza all’interno del rapporto.
A fronte dell’avanzare sempre più incalzante di saperi specialistici, chiusi autoreferenzialmente all’interno di campi stabiliti, si percepisce allarmante la carenza di sguardi che sappiano ritornare, cogliendo l’insieme, ad un modo complessivo di vedere l’umano. Un modo che solo la filosofia, nel libero e creativo esercizio delle proprie peculiarità, può garantire in vista della realizzazione di una “vita buona” e di un essere armonicamente immersi nel cosmo naturale di cui tutti facciamo parte.
Se la consulenza filosofica nasce intorno agli anni ’80 del secolo scorso in Germania con Gerd Achembach e la fondazione della prima associazione mondiale, la filosofia contemporanea conosce (a conferma di un ampio fermento presente da sempre nell’alveo della riflessione sull’uomo e sulla comunicazione) diversi esempi di pensatori che hanno sottolineato l’esigenza di rivedere il rapporto di ‘cura’. L’idea è che si debba tener conto di parametri aperti ed inclusivi, chiudendo i conti, in altri termini, con molti dei dualismi tecnici apparentemente neutri veicolati dal modo occidentale di guardare al complesso anima/corpo. Uno sguardo volto all’intero, peraltro, non può prescindere dalla consapevolezza del contesto – scenario – in cui siamo immersi: le disfunzioni sociali, difatti, trovano presto proiezione nelle dinamiche individuali, familiari e comunitarie.
In connessione con questi temi, è più che opportuno fare riferimento ad un saggio di Erich Fromm dal titolo “La medicina e il problema etico dell’uomo moderno (7)”. In tale luogo il sociologo di Francoforte chiarisce il limite del pensiero strettamente razionale nella comprensione dell’altro, soprattutto laddove in gioco vi è la parola, l’espressione, il tutto organico e umano dell’alterità. Oltre a mettere in moto un imponente versante ermeneuticamente creativo e, in virtù di ciò, capace persino di ritrovare nel paradosso psicologico o esistenziale una potenzialità salutare forte, Fromm mirabilmente ricorda come solo nell’atto d’amore siamo capaci di stabilire quell’empatia comunicativa che ci avvicina veramente a chi ci sta di fronte. La conoscenza di sé, grande tema classico dell’oracolo delfico è inoltre, per Fromm, intrecciata alla capacità di vedere con chiarezza l’alterità. Tale prospettiva viene elaborata in vista del superamento di paure ed angosce socialmente indotte e legate al sentimento di colpa ed alla alienazione.
L’avvento della consulenza filosofica pare dunque raccogliere queste ed altre sollecitazioni, promuovendo praticamente un cambiamento di direzione riguardo al modo di relazionarsi all’altro e, nel caso di disagi non patologici, alla ‘la cura’. Così la dimensione dialogica viene correlata a quella del senso, ma concependo anche quest’ultimo elemento non come fatto conchiuso e definitivamente stabilito una volta per tutte, ma come ‘evento’ anch’esso passibile di creazione soggettiva o condivisa. Liberare il fluire dello scambio comunicativo dall’eccesso di attività interpretativa può, difatti, contribuire a ri-situare l’incontro lungo un asse di autenticità in grado di renderlo ‘esposto’ al nuovo e all’imprevisto. Schlomith C. Schuster scrive: “L’obiettivo della pratica e della consulenza filosofica è di rendere la filosofia valida e adeguata per le situazioni e le questioni concrete di individui e gruppi” (8). In questa affermazione l’accento, a mio avviso, cade inequivocabilmente sul termine “concrete” segnando, attraverso tale visione, uno stacco deciso anche rispetto a quella tradizione filosofica che concepisce, più o meno esplicitamente, la filosofia come mero esercizio speculativo fine a se stesso. Ma per guardare al concreto, la pratica della filosofia, deve tener conto delle differenze specifiche, della pluralità degli approcci possibili e della originalità delle narrazioni che ‘abitano’ lo spazio del confronto. È in virtù di ciò che Achenbach affermerà che l’esistenza di un unico metodo fisso, già da sempre stabilito e concordato, non appartiene alla consulenza filosofica ma tutt’al più alle scienze (9). Ma l’apertura creativa all’imprevisto e la rimodulazione della forma relazionale in base alla situazione concreta, non va interpretata, nel medesimo tempo, come una sorta di indefinitezza della prassi ma come il tentativo umano, sulla scia di Fromm, di avvicinarsi realmente all’altro nell’esercizio della comprensione ma anche, e soprattutto, di un’etica amorevolezza.
Dalla mia esperienza all’interno di realtà di gruppo più o meno strutturate è emerso come sovente le difficoltà comunicative rappresentino il maggiore ostacolo alla realizzazione di progetti comuni, progetti nei quali ne va della realizzazione di ciascuno. Emerge come l’impronta marcatamente individualistica trasmessaci in forma di valore dai sistemi vigenti, inneschi un “cortocircuito” con quel bisogno parimenti umano – ampiamente attestato già da Aristotele – di stare con gli altri, con-dividere, creare e progettare.
L’insicurezza ontologica dell’umano, il suo statuto fragile determinato dalla finitezza che lo attraversa, trova difatti solo in una dimensione con-divisa, di cui si reperisca fattivamente il significato, la sua redenzione e il suo oltrepassamento fruttuoso. La pratica filosofica, in tal senso, può venire incontro all’ospite attraverso la maieutica, sollecitandolo a trovare in sé la risposta originale e più sensata in relazione alle difficoltà emerse ma, nell’ascolto autentico dell’altro, può anche arricchire sensibilmente il proprio bagaglio e il proprio vissuto, facendosi per ciò stesso, ponte reale verso la differenza, la condivisione e la virtù, nonché prezioso strumento per la comprensione dell’oggi e delle sue sfide.
Emanuele Enrico Mariani
G. B. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità per la vita, trad. it. di R. Soldani, Apogeo, Milano 2004.
M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, trad. it. di F. Ferrucci, BUR, Milano 2006.
L. Marinoff, Platone è meglio del Prozac, trad. it. di F. Saba Sardi, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2001.
D. W. Winnicott, Gioco e realtà, trad. it. di G. Adamo e R. Gaddini, Armando Editore, Roma 1990.
R. May, L’arte del Counseling. Il Consiglio, la guida, la supervisione, trad. it. di C. Carbone, Astrolabio, Roma 1991.
O. Rank, La volontà di essere felici (progetto di una filosofia della vita psichica), trad. it. di F. Marchioro, Sugarco Edizioni, Varese 1992.
E. Fromm, Dogmi, gregari e rivoluzionari, trad. it. di V. Di Giuro, Edizioni di Comunità, Milano 1980.
S. C. Schuster, La pratica filosofica. Una alternativa al counseling psicologico e alla psicoterapia, trad. it. di F. Cirri, Apogeo, Milano 2006.
G. B. Achenbach, La consulenza filosofica, op. cit.
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